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  • Immagine del redattoreJonas Marti

Il castello perduto (e ora ritrovato) di Lugano


Lugano alla fine del XV secolo. (InkLink Musei / Simone Boni)

Chissà come sarebbe oggi la città, se cinquecento anni fa gli Svizzeri non lo avessero distrutto. Il castello di Lugano era una fortezza mica da poco per l’epoca, capace di rivaleggiare con quelle di Bellinzona e di Locarno. Costruito nel 1498 dal milanese Ludovico il Moro sull’ampia spianata tra le mura orientali del borgo e il fiume Cassarate – più o meno tra gli attuali Palazzo dei Congressi e Casinò, toccando parte del Parco Ciani – poteva ospitare fino a trecento soldati, era circondato da un profondo fossato e protetto da quattro poderose torri. Il maniero fu distrutto nel 1517 su ordine dei Cantoni Confederati, che temevano un suo utilizzo a loro ostile, e le sue macerie, si racconta, furono usate per costruire il convento di Santa Maria degli Angeli. Chissà, altrimenti, quali fotografie mozzafiato avremmo avuto oggi sui nostri dépliant turistici…


Niente rimorsi, niente rimpianti. Oggi, grazie ad un prezioso libro pubblicato dall’Archivio storico della Città di Lugano, è possibile rivivere tutto. Le ricostruzioni illustrate che accompagnano la pubblicazione riescono a farci vedere, per la prima volta, letteralmente, non solo l’antico maniero, ma tutta la splendida Lugano rinascimentale, in un’esperienza mozzafiato. L’illustratore italiano Simone Boni, tra i massimi esperti europei in ricostruzioni storiche, ha seguito le indicazioni degli archeologi e ha preso come matrice la più antica rappresentazione panoramica di Lugano, «scattata» nel Seicento dall’incisore basilese Matthäus Merian, retrodatandola, e sovrapponendoci la città di fine Quattrocento.


E così, accanto all’imponente castello che domina la riva del lago, emerge anche l’antico borgo di Lugano, stretto nelle sue viuzze medievali, delimitato da mura interrotte da porte, con le sue umili case, le sue piazze in terra battuta e i suoi conventi, e la cattedrale arroccata sulla cima della collina. Fuori, la natura rigogliosa e lussureggiante, i folti boschi che dal Brè scendono fino a lambire il Ceresio, i terrazzamenti a vigneto, i campi e un efficiente sistema di irrigazione fatto di mulini, rogge e canali che attraversavano tutta la piana del Cassarate.


Eppure la bellezza quasi idilliaca di questa bella immersione nel passato cozza con la brutale violenza di quegli anni. Allora Lugano, insieme all’intero Luganese, continuava ad essere lacerata senza tregua dalle decennali lotte tra guelfi e ghibellini, con omicidi, spedizioni punitive, saccheggi e incendi. «Fumavan di cittadino sangue le strade e le piazze», scriveva un cronista dell’epoca. E come se non bastasse, Ludovico il Moro ebbe appena il tempo di terminare la costruzione dell’imponente castello e nominare un castellano... che la fortezza – insieme all’intero borgo e a tutto il Ducato di Milano – fu occupata militarmente dai soldati francesi: Luigi XII di Francia era sceso in Italia ed era riuscito a cacciare gli Sforza, e il 6 settembre a Lugano era addirittura arrivato un araldo a pretendere il giuramento di fedeltà alla corona. Il dominio francese sulla città durerà ben tredici anni, fino al 1512, quando sarà interrotto da altri conquistatori, gli Svizzeri che nel frattempo calavano agguerriti dalle valli superiori del Ticino.


Che ci fosse un castello a Lugano gli storici lo avevano sempre saputo. Le prime pietre però erano emerse solo nel 1918, e più tardi nel 1970, durante la costruzione del Palazzo dei Congressi. Mentre gli operai stavano lavorando a un paio di metri sotto il livello del suolo, nell’esatto luogo dove oggi i clienti del ristorante Ciani sorseggiano i loro drink in terrazza, le pale degli operai improvvisamente avevano cozzato contro solida muratura. Tolta la terra, lentamente aveva preso forma una costruzione circolare, molto grande, dal diametro di oltre dieci metri. Gli archeologi cantonali non ebbero dubbi: era una delle quattro torri difensive. Ricostruire esattamente forma e dimensioni del castello è però impossibile. Secondo le indagini, il castello era simile a quello, costruito negli stessi anni dai milanesi, della Rocca nuova di Vigevano: pianta rettangolare, con baluardi cilindrici adatti a sostenere l’impatto dell’artiglieria che in quegli anni stava cambiando per sempre l’arte militare. Una novità, doveva apparire agli occhi dei luganesi dei tempi, una costruzione d’avanguardia, ben più moderna degli ormai vecchi – già all’epoca – fortilizi bellinzonesi.


Se le tracce materiali del «Castelum magnum», il grande castello di Lugano, sono pochissime e tutte sottoterra, grazie ai documenti conservati negli archivi dei vecchi Cantoni Confederati – scritti in antico tedesco, trascritti fedelmente nella ricchissima appendice documentaria del libro – siamo invece particolarmente informati su una delle sue avventurose vicende: l’assedio degli Svizzeri contro i Francesi, combattuto a colpi di bombarda. Fu lungo. Durò sei mesi, dal 23 luglio del 1512 al 26 gennaio del 1513, fino alla definitiva vittoria rossocrociata. Sternstunde, momento decisivo per il futuro della nostra regione, quando Lowertz (il nome con cui i Confederati chiamavano Lugano) non era ancora svizzera e forse le cose, chissà, sarebbero potute anche andare anche diversamente.


Gli aneddoti tramandati sull’assedio sono molto vivaci. La grande Storia, fatta delle piccole storie degli uomini. Come quella di un rapimento. I Francesi sapevano bene che avrebbero avuto bisogno di un medico per curare i feriti causati dall’attacco svizzero, e così invitarono al castello il medico luganese Nicolò Maria Laghi. Appena entrato – è lui stesso a raccontarcelo nella sua Cronaca Luganese, preziosissima e straordinaria testimonianza dell’epoca, che meriterebbe di essere conosciuta da tutti – «fu dunque circondato subito». Il povero Laghi fu «tenuto prigione» fino alla fine dell’assedio, costretto a curare feriti e malati. Ma poi ci fu anche un inseguimento a cavallo: un assediato, mandato a chiedere rinforzi alla guarnigione francese di Locarno, fu inseguito a tutta velocità dagli Svizzeri e catturato a Taverne dopo un duello all’ultimo sangue. Gli trovarono un bigliettino in tasca, che invitava il capitano di Locarno ad accendere due fuochi sul Monte Tamaro se avesse potuto inviare aiuti, quattro in caso negativo. A Locarno il messaggio non arrivò mai, ma per sfiancare la resistenza gli Svizzeri accesero quattro falò. Un’uggiosa giornata di novembre, invece, il lago esondò, allagò le cantine della fortezza e distrusse, tra la disperazione dei Francesi, tutte le loro scorte di vino. E mentre i Confederati spiavano gli assediati dall’alto del campanile di San Lorenzo, ci fu anche una scena dal sapore omerico: una notte i comandanti dei due schieramenti, lo svizzero, forse leventinese, Giacomo d’Uri detto Mottino, e il savoiardo Antoine de Mondragon, si parlarono – lo svizzero davanti al ponte levatoio sotto le mura, il francese dall’alto del cammino di ronda. «Giacomo torna a casa, il castello non sarà mai vostro».


Ma Mondragon si sbagliava: infine, dopo una quarantina di morti tra gli Svizzeri, e i Francesi costretti a nutrirsi dei propri cavalli, la Dieta federale e il Re di Francia trovarono un accordo. Il 28 gennaio del 1513 la guarnigione francese si arrese, uscì dal castello – insieme al povero medico Laghi, finalmente restituito ai suoi cittadini – e a prendere possesso della fortezza fu lo zurighese Kaspar Göldli, primo balivo di Lugano. I festeggiamenti furono sfarzosi e durarono un’intera notte, con grandi fuochi e suonatori di piffero e tamburo. Due giorni dopo sarà Locarno a cadere in mani confederate.


Costruito dai Milanesi, occupato dai Francesi, conquistato dagli Svizzeri. Ha avuto vita breve il perduto castello di Lugano. Ma nei suoi poco meno di vent’anni di esistenza, è stato testimone dell’inquieta e intricata geopolitica di quell’Europa che stava uscendo dal Medioevo e stava entrando nella modernità. E che anche a Lugano è stata in un qualche modo costruita. Chissà come sarebbe oggi la città con il suo castello…



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