top of page
  • Immagine del redattoreJonas Marti

Santa Sofia è anche (un po’) ticinese

Chissà a che cosa pensò il morcotese Gaspare Fossati quando mise per la prima volta piede dentro la sublime basilica che doveva restaurare, Santa Sofia. Prima di arrivare a Istanbul ne aveva già viste di meraviglie. Partito dalle rive del Ceresio, aveva studiato a Venezia, Milano e a Roma ed era stato architetto ufficiale dello zar a San Pietroburgo. Ma monumenti così strabilianti non ne aveva visti da nessuna parte. Santa Sofia, basilica delle basiliche, moschea delle moschee, miracolo assoluto dell’architettura bizantina. Giusto per dire: quando gli ottomani conquistarono Costantinopoli nel 1453, il cantore di corte Tursun Beg la definì «modello del paradiso» e scrisse che «nulla di paragonabile è mai stato costruito». Caricata di simboli come mai nessun edificio – chiesa, moschea, museo e ora di nuovo moschea – Santa Sofia ancora oggi non smette di conquistare – e scaldare – gli animi.


Ma se la sua bellezza è arrivata inviolata fino a noi lo dobbiamo proprio al nostro Gaspare Fossati, che nel 1847 fu incaricato dal ventiquattrenne sultano riformatore Abdülmecid I, grande mecenate con spiccati interessi per la cultura occidentale, di compiere il più grande e radicale restauro a cui la basilica sia mai stata sottoposta. Gaspare Fossati era arrivato sul Bosforo già dieci anni prima, insieme al fratello minore Giuseppe, inviato dallo zar con il compito di costruire la nuova sede dell’ambasciata russa. Ma un progetto tirò l’altro: apprezzato da tutti, in poco tempo Gaspare Fossati edificò altre ambasciate, poi l’università e la Nuova Scuola imperiale, finché infine, grazie alla celebrità raggiunta, ottenne il prestigiosissimo incarico: restaurare la moschea più importante di Istanbul, massimo monumento dell’impero ottomano.


Allora Santa Sofia aveva senza dubbio bisogno di una sistematina. Dopo quattordici secoli di terremoti e dissesti strutturali, la basilica non era messa benissimo. Le testimonianze dell’epoca dicono che sulla grande cupola c’erano delle crepe così grandi che un uomo adulto avrebbe potuto passarci attraverso. L’edificio doveva essere consolidato e restaurato. I fratelli Fossati ripararono le fessure, posarono una catena di ferro attorno alla base della cupola per sostenerla, rinforzarono le colonne e i rivestimenti in marmo. Sotto i loro ordini lavorarono ottocento operai, e il restauro venne completato in due anni.


Ma durante i lavori i due morcotesi fecero una scoperta straordinaria: nel 1848, mentre i manovali stavano togliendo la calce e il vecchio intonaco per metterne di nuovi, vennero per caso alla luce degli antichissimi mosaici bizantini ancora intatti. Risalivano agli albori della costruzione voluta dall’imperatore Giustiniano, e mostravano figure cristiane, come Gesù, la Madonna e numerosi santi e angeli. I fratelli Fossati vollero mantenerne traccia: li documentarono con disegni annotati, di grande precisione, e con più fantasiosi acquarelli, e li mostrarono al Sultano che, estasiato dalla bellezza, pensò in un primo momento di mantenerli esposti.



Nei giorni successivi accadde però che alcuni operai, in ottemperanza al precetto islamico che vieta ogni rappresentazione umana, cominciarono a distruggere le immagini cristiane. Così, anche a causa delle pressioni degli ambienti conservatori, il Sultano progressista scese a più miti consigli e ordinò di ricoprire i mosaici, riconsegnati all’oblio fino allo sconsacramento di Atatürk e alla trasformazione in museo nel 1934, quando le immagini furono svelate di nuovo.


Oggi i disegni che illustrano i magnifici mosaici di Santa Sofia sono conservati all’Archivio di Stato del Cantone Ticino, nel Fondo Fossati. Una preziosissima documentazione della storia dell’arte universale, custodita negli scaffali di Bellinzona, che nell’ultimo secolo ha permesso agli storici dell’arte e bizantinisti di tutto il mondo di studiare a fondo l’antica basilica. Dopo il restauro infatti numerosi mosaici sono andati distrutti a causa di terremoti e di altri lavori compiuti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Senza contare quel terrificante ma redditizio vizio di vendere sul mercato nero le piccole tessere dorate, ahinoi durato a lungo.


Certo è lode agli architetti dell’imperatore bizantino Giustiniano che nel 537 la edificarono. Ma se oggi Santa Sofia è quello che è lo dobbiamo senza dubbio pure a Giuseppe e Gaspare Fossati, che rinnovarono anche, come dire, l’arredamento interno di questa grande casa di Dio e dell’umanità intera. I colori e le decorazioni che oggi ricoprono le pareti sono opera loro, così come la loggia esagonale, i lampadari a goccia e gli otto giganteschi medaglioni circolari che riportano i nomi di Dio, di Maometto e dei primi quattro califfi, presenti in ogni fotografia di Santa Sofia che si rispetti. E pensate: costruirono addirittura uno dei quattro minareti ancora oggi presenti, sostituendo il primo, eretto da Mehmet II all’indomani della conquista e sproporzionato rispetto agli altri tre.


Dopo aver riconsegnato Santa Sofia all’eternità, Gaspare Fossati pubblicò a Londra un libro che illustrava l’impresa. I dipinti che impreziosiscono le pagine sono mozzafiato, le gigantesche navate della basilica sembrano luccicare. Infine, nel 1858 i due fratelli tornarono a casa, sulle rive del Ceresio, portandosi con sé un pezzo di Istanbul. A Morcote costruirono la loro casa in stile turco, dove ancora oggi una targa ricorda Gaspare; sempre su disegno orientale costruirono anche la cappella di famiglia nel cimitero di Morcote dove oggi riposano.


Chi l’avrebbe mai detto? Due morcotesi alla corte del Sultano, due fratelli che hanno consegnato all’umanità intera la bellezza millenaria della basilica più straordinaria di tutti i tempi, che dopo quattordici secoli continua a suscitare clamore.



bottom of page